Drosophila Melanogaster - Articolo di Vittorio Pavoncello tratto da Voltapagina il giornale di ECAD


Drosophila Melanogaster di 
Massimo Napoli
articolo di 
Vittorio Pavoncello

Di quali dovrebbero essere i compiti e le funzioni dell’arte ne potremmo parlare da qui a domani e poi ancora da domani a dopo domani e così per sempre. Fino al giorno in cui gli artisti saranno oggetto di ricerca per i pochi paleontogi ancora esistenti. Di quei paleontogi che un domani si chiederanno come è accaduto che gli artisti che hanno dominato la Terra per diversi secoli poi siano improvvisamente scomparsi. Colpiti da chissà quale meteorite che gli rese l’ambiente invivibile!? O magari, se fossimo stati tanto fortunati di vivere quando lei era ancora in vita, ne avremmo potuto parlare con lei, con Drosophila Melanogaster lo pseudonimo di Europa Pesante alla quale Massimo Napoli ha voluto dedicare una mostra che è più di una mostra.
Possiamo bene immaginare un Marcel Duchamp che travestito da Rose Selavy, quel Duchamp che si lascia ritrarre con cappellino e collo di pelliccia e con mani vezzose intorno al volto, si proprio lui! apra la sua Scatola in una valigia quella Boîte en-valise piena di riproduzioni di sue opere e le rovesci in uno spazio. Qualcosa di simile ci sembra sia accaduto per opera e dedizione di Massimo Napoli con la mostra dedicata a Drosophila Melanogaster.
Chiamarla mostra è sicuramente riduttivo perché è qualcosa di più. E’ un enigma, una Sfinge che ci interroga sui confini della realtà. E’ una installazione ma è anche un angolo di teatro dove si ascoltano suoni e voci. E’ un percorso, ed è anche la presentazione di un libro, o meglio di una casa editrici di cui ne ammiriamo alcune copertina. Ci sono le stanze che parlano di lei, ma lei la protagonista non c’è. Forse siamo arrivati tardi lei è vissuta, in un mondo tutto suo. Di lei ci parlano le sue opere di cui Massimo Napoli ne è l’officiante come in un mistero iniziatico.

Se l’arte fra le sue tante cose deve creare un piacevole stordimento dei sensi e uno straniamento della ragione questa visita a Drosophila Melanogaster ci rende più leggeri. Perché in questo gioco di echi si respira un’aria rarefatta di quella che si trova a certe quote dove tutto è più fino, anche l’intelligenza. Massimo Napoli fra l’altro anche attore dà con questa mostra da una prova di raffinata e misteriosa interpretazione. clicca qui

Drosophila Melanogaster di Massimo Napoli - Interno - 14 foto di Gianvito Ricciardi

Drosophila Melanogaster
foto del 1977


Prefazione al catalogo in mostra

Massimo Napoli è un attore cresciuto nell’avanguardia teatrale  degli anni  70 /80.  Ha lavorato con Giuliano Vasilicò, Aldo Braibanti, Luca Ronconi . E’ scrittore, pittore e collezionista. Intellettuale esperto di teatro, pittura, letteratura, storia dell’arte. E’ minuto, elegante, educato e sensibile, vive in una casa bellissima sempre in ordine e pulita.

Un giorno a casa sua mi mostra un piatto di ceramica appeso ad una parete  e mi dice: “ vedi questo l’ha dipinto Drosophila Melanogaster nel 1977”. Mi spiega che è stata una scrittrice di successo vissuta nello stesso periodo di Liala, ma a differenza di quest’ultima che esalta le virtù dei ceti sociali più elevati,  Drosophila svela  nei suoi scritti la crudeltà nascosta nei comportamenti borghesi e aristocratici per  mantenere i propri privilegi.

I riferimenti  a Bontempelli nella biografia di Drosophila  mi spingono a leggere vita e morte di Adria e dei suoi figli dove scopro una figura femminile di un disumano autolesionismo pur di lasciare la sua celebre ed irraggiungibile bellezza nel mito,  con  la folla delinquente di Drosophila  Melanogaster  scopro invece una donna altrettanto bella ma  libera nell’animo e nella mente da qualsiasi lusinga altoborghese.

Parlando con Massimo chiedo se è veramente esistita questa scrittrice e avverto che  non è una domanda  da porre,  per non  sentirsi  frastornati. Non ha importanza  capire  dove inizia il gioco e dove finisce il vero.  Quando abbandono  la curiosità  riesco a  godere  della sottile ironia che serpeggia in tutte le dimensioni del personaggio,  dai titoli dei libri così cupi e carichi di dolorosi presagi con copertine invece dal tratto leggiadro e decorativo, ai disegni dell'utensileria da cucina della buona matrigna, simbolo del posto che spetta alle serve, concetto che suscita indignazione mista a sorriso.
Massimo mi parla anche di un testamento mai aperto che Drosophila ha lasciato a suo figlio “Massimo” con l’impegno di aprirlo soltanto a più di 30 anni dalla sua morte avvenuta nel 1975.

Propongo di fare una mostra  su Drosophila Melanogaster , ed aprire con l’occasione il testamento.
Riconosco che Massimo Napoli con questa mostra svela il suo animo, la sua sensibilità  e generosamente ci regala le sue conoscenze culturali, artistiche ed umane.
Questa mostra è un dovere sociale, un riscatto morale per tutte le sofferenze inflitte dalla meschina cultura benpensante. E’ un omaggio che Massimo Napoli con il mio incoraggiamento e con la disponibilità di Claudia Quintieri, dedica a tutte le persone che hanno subito e subiranno un’ ingiusta condanna  per essere state anime libere.

Dedicato ad Aldo Braibanti

Rossella Alessandrucci


Mostra del 21/02/2017
Interno 14
foto di Gianvito Ricciardi













 SEGRETO EPISTOLARE di DROSOPHILA MELANOGASTER 
  (da rivelare dopo più di trent’anni dalla sua morte). 

Anche ora che sto per morire, e ne avrò giusto il tempo di terminare questo mio scritto, provo un vero desiderio di vivere. Una gioia di vivere connaturata in me e sempre repressa dagli eventi. Da ragazza, ascoltando una canzonetta di Aldo Fabrizi, “Nel Duemila”, si era negli anni ’30, pensavo realmente al Duemila come a una grande epoca, evoluta, progredita ed emancipata; non la vedrò mai, ma disporrò affinché queste mie rivelazioni usciranno nel nuovo millennio avanti. Ora Penelope incrocia la x sulla scheda elettorale e questo è bene e mi fa appartenere alla modernità, ma la mia vita è stata la rissa con la barbarie degli uomini.
Ma veniamo subito agli accadimenti.
Gli accadimenti sono pochi e brutali e come tali hanno l’elenco che taglia e corrode corpo e anima:
-a sei anni, in collegio dalle Suore Beata Rosa Venerini, durante le prove generali della prima comunione, ricevo in bocca la prima ostia, seppur non quella ufficiale, quella arriverà il grande giorno, ma nella materia è la stessa e la transustanziazione non c’è. Quella prima ostia della mia vita subito attenta alla mia vita, appiccicandosi al palato e chiudendomi l’ugola. Soffoco e provo ad aiutare i polmoni, staccando quella pappa con le dita: sacrilegio! Le suore mi trascinano per i capelli fuori dalla cappella e mi puniscono per aver toccato con le mie dita peccatrici di bambina di sei anni il corpo di Cristo. Ma non erano le ostie della brutta copia?
-e ancora: sono poco più di un’adolescente e l’uomo, l’adulto, si presenta a me sotto forma di divisa, uniforme, bello, militare, galante e gode subito del verbo comandare, esigere, desiderare e pretendere, concedere e determinarsi, intendere e ordinare. E’ me che richiede e a tanta forza, la sua, conviene tanta debolezza, la mia e allora l’amo o è giogo, subordinazione? Il tempo non c’è per rispondermi, perché quello che io credevo di donare in amore non è e succede lo stupro e tutto adesso è un’altra cosa;
-e ancora: gravida, sono cacciata di casa da mio padre, mentre mia madre m’incoraggia di appellarmi alla Santa Vergine, anche lei gravida, ma incontaminata; quanto mi è accaduto dovrà essere velato per sempre dal silenzio che uccide;
-e ancora: nel 1913 nasce mio figlio, uguale al padre e da lui non riconosciuto e io ho vent’anni;
-studio, lavoro, imparo il fango e la polvere, ma tiro avanti;
-amo mio figlio Massimo, ma nel 1920 a sette anni, mi viene strappato via e rinchiuso nel manicomio dell’ospedale Santa Maria della Pietà di Monte Mario, dove non mi è permesso vederlo;
-la mia vita senza mio figlio si rabbuia ed è tutto un de profundis;
-le mie uniche amiche che mi saranno accanto per tutta la vita sono Maria e Valentina: Maria Montessori in quegli anni ottiene la nomina di assistente presso la clinica psichiatrica dell’università e mi offre la spalla su cui piangere; Valentina H. ha un ristorante, dove mangio e mi confido, e mi offre la spalla su cui piangere; e  ancora: nel 1924 succede il delitto Matteotti e il Fascismo si rivela nella sua brutale natura;
- e ancora: Maria Montessori mi confida di essere anche lei una ragazza-madre, ma il suo segreto rimarrà tale per sempre. Ella ebbe un figlio da Giuseppe Ferruccio Montesano, uno dei fondatori della Psicologia e Neuropsichiatria infantile italiana.
-grazie all’intervento di Maria Montessori, mio figlio viene accolto nella prima “casa dei bambini”, quella da lei fondata nel 1907 a S. Lorenzo. Posso riabbracciare mio figlio, ma lo trovo instabile e disturbato, mi rifiuta.
-rigettata da mio figlio, ammattisco quasi. Non voglio più mangiare, ne’ bere. Valentina H. mi convince che il piccolo Massimo, nella sua disperazione e solitudine ha il diritto di poter contare su sua madre, anche in forma indiretta e anonima.
-l’esistenza è fango, ma devo fertilizzare la gioia di vivere per amore di mio figlio e allora scrivo e disegno, dunque sono circondata da Bellezza e Dolore.
-e ancora: il padre di mio figlio è divenuto un illustre ufficiale dell’esercito ed esponente del Fascismo. Egli sta per sposare una donna per formare la Famiglia, solennemente confermata dalla legge e santificata dalla religione. Non pago di una vita che gli sorride, si fa un ulteriore regalo di nozze: rigettare mio figlio in manicomio, per allontanarlo da sua madre definitivamente e cancellare così quel figlio illegittimo.
-grazie a mio figlio, posso affermare di essere stata a contatto con l’anima e di non essere una superficiale. Quando si è in contatto con l’anima si diventa semplici come bambini. Scrivo e disegno e mi sento di essere profonda, ma gli altri puntualmente si ritengono di essere più intelligenti e sorridono. Ecco di nuovo il nemico della mia esistenza: il pregiudizio.
-quando il pregiudizio intralcia i rapporti, la pubblicazione delle opere, la conversazione, allora la sola cosa da fare è di accettare ogni cosa e, per quanto strano possa sembrare, si può essere molto più felici. Circondata dai miei oggetti, dai libri e dai fiori, potevo sentirmi libera e felice. Diversamente, in quegli anni decisivi ma durissimi, alcuni artisti, fragili e meno portati a star di fronte al pregiudizio o a spazzarlo via, venivano relegati al ruolo di animali in via di estinzione. Destinataria degli appunti e dei diari di pittori come Antonio Donghi e Riccardo Francalancia, io potevo accorgermi del dolore profondo e incurabile dato dall’esser visti come relitti del passato, fuori dalla storia e dall’Europa.
Ora che sono morta, le mie riflessioni verranno accolte da una società evoluta sicuramente, ma il pregiudizio sarà sempre la bestia contro cui lottare. Il mio muto mondo del dolore e i miei romanzi sono portavoce di esso. La mia amica Maria Montessori, riparata all’estero, ha combattuto la sua battaglia contro il pregiudizio per via scientifica, pedagogica e intellettuale. Io, che provengo da quella terribile filantropia del IXX° secolo, di collegi religiosi, colonie estive, dittature distruttive, ho avuto l’Arte come alleata, perché artificio o inutile come l’Arte deve essere, perché simbolo.
Il padre di mio figlio e il padre del figlio illegittimo di Maria Montessori, quando morirono ebbero solenni funerali di Stato. Quando ho potuto rivedere la madre del padre di mio figlio, ormai molto vecchia, le avevo riferito di aver adottato un nome d’arte al posto di Pesante. Sconvolta, ella aveva subito telefonato alle sue amiche scimunite, dicendo di avere una nuora mancata pazza che ora si fa chiamare “Melanogatto”. L’eleganza di una Melanogaster storpiata dalla volontà di ascoltare un nome sotto l’ala nera del pregiudizio.

                                                                               4 Febbraio 1975

                                                                              Europa Pesante in arte Drosophila Melanogaster






Rossella Alessandrucci (LaStellinaArteContemporanea), Massimo Napoli, Claudia Quintieri



Drosophila Melanogaster di Massimo Napoli - testo critico di Claudia Quintieri

Drosophila Melanogaster

Chi è Drosophila Melanogaster? Una scrittrice di successo, ma ancora prima una madre. Al secolo Europa Pesante, nata a Roma nel 1893 vi è morta nel 1975. Nella sua vita ha incontrato soprattutto avversità: dal punto di vista creativo ha dovuto fondare una sua casa editrice, “Edizioni della Palude”, perché, tramite Natalia Ginzburg, l’Einaudi aveva riveduto e ridotto i suoi romanzi. Da un punto di vista personale, quando era giovane, ha incontrato un illustre ufficiale dell’esercito ed esponente del Fascismo che l’ha messa in cinta di suo figlio Massimo, e che, non solo ha disconosciuto il bambino, ma lo ha anche fatto internare in manicomio per costruirsi una nuova vita. Massimo Napoli è riuscito a salvare dall’oblio la figura di questa grande donna che, come scrittrice, si è occupata soprattutto del conflitto fra individuo e società, e nel privato, anche. Per celebrarla ha organizzato un evento alla memoria, una mostra. Nella prima sala, L’ANTICAMERA, la gigantografia della foto di Drosophila scattata nel 1977: ma com’è possibile dato che lei muore nel 1975? Forse è deceduta dopo? Forse è sbagliata la datazione della fotografia? Su questo non ci sono fonti certe. Poi ci si imbatte ne LA PRESENTAZIONE, dove è esposta la sua  fotografia insieme alla sua biografia scritta da Napoli e l’elenco dei titoli dei suoi romanzi. Segue L’ESPOSIZIONE dove sono poste dieci copertine dei romanzi di Drosophila, da lei disegnate con i pastelli. Si continua con la sezione LE SERVE STANNO IN CUCINA. dove sono  in esposizione quattro disegni dal titolo “L’utensileria da cucina della buona matrigna” realizzati da Massimo Napoli. E si finisce con una sala dove c’è una busta, il nome della sala è MANIFESTARE IL SEGRETO EPISTOLARE DI DROSOPHILA MELANOGASTER  e nella busta il suo testamento che sarà divulgato ripetutamente da una registrazione recitata da Massimo Napoli. Massimo Napoli, attore e disegnatore, appare come curatore di questa mostra, ma in realtà ne fa parte, vi si inoltra sia come voce recitante che come pittore che come biografo: entra ed esce dalla mostra come se essa fosse un suo personaggio.  Chi è veramente Drosophila? Ne abbiamo testimonianza solo dalle parole e dalle ricerche di Napoli: cos’è veramente reale, cos’è immaginazione? Sulla scena teatrale il personaggio che muore, muore veramente? Eppure quando ci troviamo di fronte ad una simulazione l’emotività può rendere reale ciò che appare. Non ci capacitiamo di ciò che abbiamo di fronte, verità o finzione. Secondo la “leggenda” Drosophila ha avuto una vita intensa, in lei convivevano varie anime. Era una contraddizione in termini perché la traccia della sua esistenza l’aveva portata ad un’ambiguità sempre calata nella purezza d’animo. Non riusciva a gestire in maniera equilibrata il lato sociale, aveva questa attrazione repulsione verso la vita artistico letteraria dell’epoca, siamo a cavallo fra le due guerre. Una delle cause possibili è che nell’ambito sociale spesso bisogna costruirsi una sorta di maschera che non permette di mostrare ciò che è la realtà emotiva delle persona, nel caso di Drosophila parliamo della sofferenza per un figlio maledetto, ricoverato in un ospedale psichiatrico. Quindi, da una parte rimaneva incastrata nella costrizione di dover nascondere la situazione personale per apparire in una società con degli schemi, dall’altra parte i suoi sentimenti erano connaturati ad un vissuto cui non si poteva sottrarre, motivo per cui aveva anche bisogno di isolarsi dal mondo. Fra apparenza e sostanza . Nonostante lei sia stata una donna di successo era stata colpita nel lato in cui la donna è più vulnerabile, quello materno, quando le avevano sottratto Massimo, quindi aveva questo profondo buco affettivo dovuto al figlio, che inoltre la rifiutava perché si sentiva abbandonato, e che la faceva andare in profondità, in contrasto con una superficialità mondana. E poi nell’artista coesistono necessità ambigue come quella di esserci e non esserci: l’artista ha bisogno di apparire però ha anche bisogno di rifugiarsi, di sottrarsi, per sua indole. Non è un caso che Drosophila scrivesse e dipingesse. Solo le sue due amiche Maria Montessori e Valentina H. sapevano la verità sul suo conto e le stavano vicino.  E sempre ritornava e appariva il tema del pregiudizio nella vita di Drosophila, nel rapporto fra privato e sociale, tema che si manifesta in mostra sotto diverse forme.  “Le serve devono stare in cucina”, che è il titolo della quarta sala dove vi sono i disegni di pentolame firmati da Napoli, ne è una manifestazione. Questi disegni si ispirano ad una parte del libro “La folla delinquente” di Drosophila: qui la protagonista vuol far fare un cappotto su misura alla sua serva, ma la sarta si rifiuta perché se si venisse a sapere che ha fatto un cappotto ad una serva potrebbe perdere delle clienti. La protagonista controbatte che anche la serva è una donna, ma non c’è niente da fare, alla fine la sarta non vorrà confezionare il cappotto: quale dimostrazione più eclatante di pregiudizio? E di nuovo il pregiudizio quando Drosophila andrà a parlare con la madre dell’uomo che l’ha messa in cinta, la donna è talmente maschilista e protettiva verso il figlio, anche se si è comportato così come si è comportato, che quando la nostra le spiega che si fa chiamare con uno pseudonimo l’anziana risponde, come si legge nel testamento: “ ho una nuora mancata pazza che ora si fa chiamare “Melanogatto”” non capendone il motivo e senza ascoltare ragioni.  E nel testamento Drosophila parla di come Massimo le abbia dato la felicità facendola entrare in contatto con l’anima che permette di ritornare bambini. Il testamento, quindi, è recitato da Napoli, che si chiama come il figlio di lei. Casualità? E se Napoli volesse far sentire la sua presenza come genitore della storia attraverso questa omonimia, come quando nei dipinti antichi il pittore si ritraeva dentro ad un proprio quadro? Connaturandosi con la possibilità di scivolare fra i suoi personaggi , di acquisirne a tratti alcune sfaccettature. E si insinua un altro dubbio: la voce è maschile e: “se fosse il figlio a leggere il testamento della madre? Così la storia non avrebbe tempo, i due sarebbero nel “sempre”, congiunti senza epoca. Finalmente insieme contro il pregiudizio.” Così, poi, le diverse ipotetiche situazioni in cui è stata scattata la fotografia sarebbero tutte esatte perché i vari percorsi possibili nascerebbero da possibili incastri temporali che alla fine diventerebbero atemporali e conviventi:
La fotografia ritrae la scrittrice durante una sua visita ai pazienti del reparto di psichiatria del Policlinico Umberto I° di Roma.
La fotografia ritrae la scrittrice in posa per i suoi ammiratori, durante uno dei suoi ricoveri al reparto di psichiatria del Policlinico Umberto I° di Roma.
La fotografia ritrae la scrittrice, quando visita suo figlio, ricoverato presso il reparto di psichiatria del Policlinico Umberto I° di Roma.
La fotografia ritrae la scrittrice per l’ultima posa prima di saltare giù con suo figlio dalla finestra dell’ultimo piano del reparto di psichiatria del Policlinico Umberto I° di Roma.
La fotografia è del 1977?    

Claudia Quintieri